Riguardo al lavoro, la Bibbia offre principi di ordine generale e non una trattazione sistematica e approfondita. Il lavoro viene accettato e presentato come parte integrante della vita dell’uomo e collocato nella prospettiva del rapporto tra Dio e l’uomo.
Il libro della Genesi presenta Jahvè come un dio che lavora e si riposa: in sei giorni crea l’universo, il settimo giorno contempla la perfezione della propria opera. Per l’uomo il lavoro è connaturale: posto da Dio nel giardino, a lui è affidato il compito di custodirlo e coltivarlo. Il lavoro è, dunque, un'attività degna della persona alla quale è chiamata da Dio stesso.
L’armonia primitiva viene distrutta dal peccato di Eva e di Adamo: il lavoro diventa fonte di fatica e sofferenza e perde il suo significato di feconda collaborazione con il Creatore. Questa concezione pessimistica si sviluppa negli episodi di Caino e Abele e della Torre di Babele, nei quali viene condannata la concezione del lavoro separato da un giusto rapporto con Dio e frutto della superbia e della malvagità dell’uomo.
La giusta dimensione del faticare dell’uomo viene ristabilita nella riflessione biblica successiva. Il lavoro viene presentato come una necessità per l’uomo e va interpretato alla luce di un corretto rapporto con Dio: non deve diventare un idolo, il solo scopo della vita, un valore assoluto, ma rimanere sempre legato alla preghiera e subordinato al giorno del riposo, giorno dedicato esclusivamente al culto di Dio.
Nel Nuovo Testamento ritroviamo gli stessi concetti.
Il Vangelo mostra Gesù e gli Apostoli che lavorano, affaticandosi sia nel lavoro fisico che nella predicazione e Gesù, anche se non in modo sistematico, affronta spesso i problemi legati al tema del lavoro. Il lavoro non deve essere fonte di affanno e preoccupazione e diventare la cosa più importante della vita. Nella visita a Marta e Maria (Lc 10,38-42) e nel Discorso della Montagna (Mt 6,25-34), Gesù antepone ad un attivismo esagerato l’ascolto della Parola di Dio e all’accumulo dei beni materiali il fiducioso abbandono alla Provvidenza divina. Anche la preghiera del “Padre nostro” riconosce la necessità di non assolutizzare il lavoro e di chiedere al Padre quanto è necessario per vivere.
Celebre è, infine, l’affermazione di S. Paolo: “Chi non vuole lavorare, neppure mangi” (2Ts 3,10). Paolo si vanta di aver sempre lavorato con le proprie mani non per accumulare ricchezze, ma per non essere di peso ad alcuno e per ottenere, grazie al lavoro, l’autonomia e la libertà che gli consentono di predicare. Nella comunità cristiana, quindi, il lavoro e il giusto guadagno che ne deriva sono un mezzo, non il fine della vita, e devono aiutare i credenti nella diffusione del Vangelo e nelle opere di carità verso i più bisognosi.

e per l'oro luoghi dove esso si raffina.

e la pietra fusa libera il rame.

di sotto è sconvolta come dal fuoco.

e oro la sua polvere.

sconvolge le montagne:

e su quanto è prezioso posa l'occhio:

e quel che vi è nascosto porta alla luce.

E il luogo dell'intelligenza dov'è?

essa non si trova sulla terra dei viventi.

lui solo sa dove si trovi,

“Ecco, temere Dio, questo è sapienza

e schivare il male, questo è intelligenza”. (Da Gb 28)