GesuDottoriGesù si presenta come il nuovo Mosè, venuto non per abolire la Legge antica, ma per darle compimento.

All’inizio del Discorso della Montagna, Gesù afferma di non rifiutare nulla dei precetti dell’Antica Alleanza, ma, con il suo insegnamento e le sue opere, dona alla Legge una luce nuova.

A differenza di quanto predicavano i farisei e i rabbini del tempo, secondo Gesù la Legge non deve essere una semplice osservanza di norme esteriori moltiplicate in tantissimi precetti, ma deve ritrovare il suo autentico valore. Non più, quindi, un uomo schiavo della Legge, ma una Legge fatta per l’uomo e per la sua conversione.

I Vangeli ricordano vari incontri e scontri tra Gesù e i dottori della Legge nei quali Gesù ha l’occasione per presentare il vero spirito della Legge.

 

1In quel tempo Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. 2Ciò vedendo, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato». 3Ed egli rispose: «Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? 4Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? 5O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? 6Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio. 7Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato persone senza colpa. 8Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato». 9Allontanatosi di là, andò nella loro sinagoga. 10Ed ecco, c'era un uomo che aveva una mano inaridita, ed essi chiesero a Gesù: «E permesso curare di sabato?». Dicevano ciò per accusarlo. 11Ed egli disse loro: «Chi tra voi, avendo una pecora, se questa gli cade di sabato in una fossa, non l'afferra e la tira fuori? 12Ora, quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso fare del bene anche di sabato». 13E rivolto all'uomo, gli disse: «Stendi la mano». Egli la stese, e quella ritornò sana come l'altra. (Mt 12,1-13)

Lo studio dell’uomo come persona intelligente e amata da Dio, del suo peccato e del male, del fine delle sue azioni e della verità, della legge di Dio e delle leggi umane, ci ha introdotti alla conoscenza dell’uomo come soggetto che agisce e i cui atti non sono indifferenti, ma, a seconda del fine, buoni o cattivi. Per questo, diciamo che l’uomo è un essere morale.

La parola morale deriva dal latino mos, che significa costume, abitudine. È la scienza che studia il comportamento dell'uomo e le regole che guidano le sue attività. Si parla, quindi, di morale individuale, quando l'oggetto è l'uomo singolo; di morale sociale, quando si studia il comportamento dell'uomo in quanto membro della società; di morale del lavoro, quando si studiano i problemi connessi all'uomo che lavora; e così via.

Scopo della morale è spiegare come l'uomo deve essere e come deve comportarsi.

Abbiamo già visto che ogni azione dell’uomo è determinata da un fine, da uno scopo, da un obiettivo (principio di finalità), che ne qualifica la bontà o meno. Aggiungiamo, ora, che il fine dell’azione non è altro che l’intenzione che il soggetto ha nel momento in cui agisce, e che il valore morale dell’azione dipende anche dal suo oggetto e dalle circostanze in cui essa si verifica. Un esempio: lavorare onestamente e guadagnare il giusto per mantenere la propria famiglia, è un’azione buona perché oggetto (= giusto guadagno), fine (= mantenimento della famiglia) e circostanze (= lavoro onesto) sono buoni, ma se, stanco di lavorare, compio una rapina in banca per procurarmi i soldi per la mia famiglia, la mia azione è cattiva. Gli esempi che si potrebbero fare sono innumerevoli; importante è ricordare che la bontà di ogni azione umana è determinata dalla bontà di tutti e tre gli elementi ora considerati, mentre è sufficiente che uno solo di essi sia in difetto per rendere cattiva tutta l’azione. Per questo, ad esempio, l’affermazione “il fine giustifica i mezzi”, così famosa e, purtroppo, accettata superficialmente da tante persone, nulla ha a che vedere con la morale cristiana, anzi, è, con essa, in netto contrasto.

 

L’oggetto, l’intenzione e le circostanze costituiscono le tre «fonti» della moralità degli atti umani.

L’oggetto scelto specifica moralmente l’atto del volere, in quanto la ragione lo riconosce e lo giudica buono o cattivo.

«Non può essere giustificata un azione cattiva compiuta con una buona intenzione» (S.Tommaso d’Aquino). Il fine non giustifica i mezzi.

L’atto moralmente buono suppone la bontà dell’oggetto, del fine e delle circostanze.

Vi sono comportamenti concreti che è sempre sbagliato scegliere, perché la loro scelta comporta un disordine della volontà, cioè un male morale. Non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene. (Catechismo della Chiesa cattolica, 1757-1761)

Insieme a oggetto, intenzione e circostanze la moralità degli atti umani è determinata anche dalla caratteristica più sorprendente dell’uomo: la libertà.

Si dice comunemente che l’uomo è libero quando ha la possibilità di scegliere, cioè di volere una cosa o un'altra.

La morale cristiana chiama questa possibilità non libertà, ma libero arbitrio: Adamo ed Eva ascoltano e accondiscendono a quanto il serpente propone loro, e scelgono “liberamente” il male.

Non è questa la libertà di cui parla Gesù e di cui tratta la morale cristiana.

Secondo il Cristianesimo, l’uomo è veramente e pienamente libero solo nel momento in cui sceglie il bene. La libertà non è un cieco affidarsi all’arbitrio della ragione o alla forza delle passioni e dei sentimenti, ma è la possibilità di incamminarsi sulla via del bene per costruire la propria vita nella verità che si identifica con il Figlio di Dio fatto uomo: “Io sono la via, la verità e la vita ” (Gv 14,6) e “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12), dice Gesù.

Gesù ha rivelato all'uomo il vero volto di Dio e, con il proprio sacrificio, lo ha redento dal male e dal peccato, rivelandogli definitivamente il fine cui tendere, la meta che il suo cammino deve raggiungere. E Gesù riassume il proprio ideale di libertà nella frase: “... conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv. 8,32).

L’uomo libero, dunque, è l’uomo che, redento dal sacrificio di Cristo, accoglie l’amore di Dio e, liberato dal male e dalla menzogna che vogliono allontanarlo da Lui, vive nella luce della Verità.

 

13Il Signore odia ogni abominio,

esso non è voluto da chi teme Dio.

14Egli da principio creò l'uomo

e lo lasciò in balìa del suo proprio volere.

15Se vuoi, osserverai i comandamenti;

l'essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere.

16Egli ti ha posto davanti il fuoco e l'acqua;

là dove vuoi stenderai la tua mano.

17Davanti agli uomini stanno la vita e la morte;

a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. (Sir 15,13-17)

 

Finché non si è definitivamente fissata nel suo bene ultimo che è Dio, la libertà implica la possibilità di scegliere tra il bene e il male, e conseguentemente quella di avanzare nel cammino di perfezione oppure di venir meno e di peccare. Essa contraddistingue gli atti propriamente umani. Diventa sorgente di lode o di biasimo, di merito o di demerito.

Quanto più si fa il bene, tanto più si diventa liberi. Non c'è vera libertà se non al servizio del bene e della giustizia. La scelta della disobbedienza e del male è un abuso della libertà e conduce alla schiavitù  del peccato. (Catechismo della Chiesa cattolica, 1732-1733)

 

Ma l'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà. I nostri contemporanei stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione. Spesso però la coltivano in modo sbagliato quasi sia lecito tutto quel che piace, compreso il male. La vera libertà, invece, è nell'uomo un segno privilegiato dell’immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l'uomo "in mano al suo consiglio", così che cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, aderendo a lui, alla piena e beata perfezione. Perciò la dignità dell'uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna. L'uomo perviene a tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine mediante la scelta libera del bene e se ne procura con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti. Questa ordinazione verso Dio, la libertà dell'uomo, realmente ferita dal peccato, non può renderla effettiva in pieno se non mediante l'aiuto della grazia divina. Ogni singolo uomo, poi, dovrà rendere conto della propria vita davanti al tribunale di Dio, per tutto quel che avrà fatto di bene e di male. (Conc. Vat. II, Gaudium et spes, 17).

Studiando la psicologia umana si studia la cosiddetta coscienza psicologica, grazie alla quale l’uomo è consapevole di sé, è in grado di riflettere su se stesso e può rendersi conto della immensità e della complessità del proprio mondo interiore.

In ambito morale, invece, si considera la coscienza da un diverso punto di vista e si parla di coscienza morale. Essa è il luogo interiore nel quale, secondo la morale cristiana, è iscritta la legge morale naturale, grazie alla quale l’uomo comprende ciò che è bene e ciò che è male. In termini un po’ più difficili si può dire che la coscienza morale è la stessa legge di Dio accolta e fatta propria dall’uomo che agisce.

Nella coscienza ogni uomo esprime il giudizio sulla bontà o meno delle proprie azioni e si rende conto se l’azione che sta per intraprendere è conforme alla legge di Dio o no.

Perché questo giudizio sia possibile e ogni uomo possa giungere ad una adesione totale e consapevole alle norme della legge morale, la coscienza va educata e guidata alla scoperta della verità.

E’ possibile, infatti, che la non conoscenza della legge morale o l’abitudine a compiere atti ad essa contrari o, ancora, la forza di condizionamenti esterni invincibili, rendano l’uomo incapace di esprimere un giudizio corretto sulle proprie azioni, inducendolo a vivere nell’errore.

 

Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa questo, fuggi quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato.

La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario delI'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge, che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo. (Conc. Vat. II, Gaudium et spes, 16)

Quando la coscienza, formata alla verità, permette all’uomo di formulare un giudizio vero sulla bontà o meno di una certa azione è detta retta e certa. Retta perché porta all’adesione sicura e sincera alla norma morale; certa perché elimina il dubbio di fronte alla scelta circa una data azione.

Consapevole quindi di ciò che è bene e di ciò che è male, l’uomo può condurre una vita autenticamente morale e indirizzarsi sempre più risolutamente a compiere il bene.

In questo è aiutato dalle virtù, che sono, in generale, le attitudini buone dell’anima. Esse si dividono in cardinali e teologali.

Le virtù cardinali sono così chiamate perché costituiscono il cardine di tutta la vita morale. Sono quattro: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza.

La prudenza permette alla ragione di capire il vero bene e di scegliere i mezzi adeguati al suo raggiungimento. Non è, come spesso viene intesa, paura o timore o incertezza che quasi paralizzano l’uomo nelle sue decisioni, ma è una luce che illumina la mente dell’uomo nel giudicare correttamente l’oggetto, il fine e le circostanze di un’azione.

La giustizia si riassume nell’espressione “dare a ciascuno il suo”. Essa guida l’uomo a riconoscere i diritti degli altri e a costruire i rapporti sull’armonia e sul rispetto reciproco. Quando è riferita a Dio viene chiamata “virtù di religione” e permette all’uomo di stabilire un giusto rapporto con il Creatore.

La fortezza rende l’uomo capace di affrontare le difficoltà della vita, di resistere alle tentazioni per proseguire il cammino sulla via del bene, di sopportare anche la persecuzione e la morte in nome della fede in Dio.

La temperanza, infine, aiuta l’uomo a dominare la propria volontà e i propri istinti, guidandolo sulla via dell’onestà. Essa pone l’uomo nella giusta posizione di fronte ai beni materiali e favorisce un loro uso equilibrato.

Le virtù teologali sono tre: la fede, la speranza e la carità.

Sono così chiamate perché, donate all’uomo direttamente da Dio, a Lui lo uniscono in un perenne dialogo di amore.

La fede fa sì che l’uomo creda nell’esistenza di Dio e a tutto ciò che Egli rivela attraverso la Sacra Scrittura. Con la fede l’uomo rinuncia a fare affidamento esclusivamente su se stesso e sulle proprie forze per abbandonarsi liberamente e con fiducia totale all’amore del Padre. Conseguenza principale della fede è il desiderio di operare attivamente perché trionfi, nel mondo, la giustizia di Dio e si realizzino le condizioni per una vita di pace e serenità.

La speranza è la virtù che genera nel cuore dell’uomo la certezza della beatitudine futura, cioè la certezza della realizzazione delle promesse di Gesù. Essa sostiene l’uomo nei momenti di difficoltà, lo aiuta ad ordinare tutta la propria vita alla luce della Parola di Dio e lo spinge all’impegno per il conseguimento della salvezza eterna.

La carità, infine, è il culmine della vita morale. E’ la virtù grazie alla quale l’uomo realizza il supremo comandamento di Gesù: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,37.39). La carità restituisce l’uomo alla sua piena dignità di creatura prediletta di Dio e lo eleva alla perfezione della sua natura. E’ il superamento definitivo di tutto quanto ostacola il cammino verso la salvezza e tiene lontano l’uomo dall’amore di Dio. E’ la virtù che rende l’uomo assolutamente e definitivamente libero, perché lo rende simile a Dio.

 

Le virtù umane sono attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali dell'intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede. Esse procurano facilità, padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente buona. L'uomo virtuoso è colui che liberamente pratica il bene. Le virtù morali vengono acquisite umanamente. Sono i frutti e i germi di atti moralmente buoni; dispongono tutte le potenzialità dell'essere umano ad entrare in comunione con l’amore divino.

Le virtù umane si radicano nelle virtù teologali, le quali rendono le facoltà dell'uomo idonee alla partecipazione alla natura divina. Le virtù teologali, infatti, si riferiscono direttamente a Dio. Esse dispongono i cristiani a vivere in relazione con la Santissima Trinità. Hanno come origine, causa ed oggetto Dio Uno e Trino. (Catechismo della Chiesa cattolica, 1804.1812)

 

1 Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. 2 E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. 3 E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.

La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, 5 non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6 non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. 7 Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8 La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà.

La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. 10 Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. 11 Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. 12 Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. (1Cor 13,1-12)