Con gli specchi in uso al tempo di Paolo si ottiene un’immagine confusa, e non indifferente è lo sforzo per riconoscersi in essa. Così è dell’uomo sulla terra: cerca di intravedere Dio, ma, di fronte al Suo grande mistero, è come abbagliato, quasi pretendesse di fissare il proprio sguardo nel sole.
Dall’impossibilità di vedere Dio, deriva all’uomo l’impossibilità di vedere e conoscere completamente se stesso. La sua sete di conoscenza sarà appagata solo quando potrà vedere Dio faccia a faccia. Allora tutto sarà chiaro: la luce dell’eternità svelerà ad ognuno di noi la definitiva verità delle cose, di noi stessi, dei rapporti fra noi, di Dio.
Oggi, il cristiano è chiamato all’impegno nel mondo, per cercare di trasformarlo alla luce del Vangelo, ed è in continua tensione verso la vera vita che lo attende al di là della morte.
Anche se molte persone, lontane da Dio o assorbite totalmente dalle angustie e dalle preoccupazioni della vita di tutti i giorni, preferiscono non pensarci, il problema escatologico è, per l’uomo, di grandissima importanza. Sempre alla ricerca di una valida risposta alle proprie domande, l’uomo che riflette non può fare a meno di interrogarsi sul dolore e sulla morte, sul perché la vita debba essere deturpata dal male e, all’improvviso, concludersi, se ci sia, oltre al muro della morte, qualche cosa o il nulla.
La parola greca escatologia significa, alla lettera, studio, riflessione, pensiero sulle ultime realtà e dà il nome al ramo della dottrina cristiana che studia la vita dell’uomo nel suo compimento terreno e quanto attende l’uomo dopo la morte.
Le mitologie, le filosofie e le religioni che si sono sviluppate nel corso dei secoli hanno cercato di soddisfare la curiosità dei vari popoli e hanno elaborato risposte più o meno complesse a questi profondissimi interrogativi.
Per i popoli primitivi, l’eternità è il proseguimento della vita presente.
Per i Greci e per i Romani le anime dei morti continuano a vivere nell’Ade aggirandosi come fantasmi. Molto suggestivi sono i racconti che troviamo nell’Odissea e nell’Eneide.
Nell’Induismo e nel Buddismo l’anima dell’uomo è legata al ciclo della reincarnazione (samsara), ciclo che si interrompe quando l’anima purificata si ricongiunge al Brahaman secondo la religione Induista, e raggiunge il Nirvana secondo la fede buddista.
Per gli Ebrei il regno dei morti si chiama Sheol. In esso le anime dei defunti sono lontane da Dio, dimenticate dai viventi, ma in attesa della redenzione.
Anche Gesù ha affrontato il problema escatologico e la Chiesa, fedele custode e interprete delle sue parole, ha progressivamente approfondito la riflessione su di esso. Tutti i santi e i teologi hanno affrontato l’escatologia e le loro meditazioni hanno arricchito immensamente la dottrina cattolica.
Laudato si, mi Signore, per sora nostra Morte corporale da la quale nullo omo vivente po’ scampare. Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali! Beati quelli che troverà ne le tue sanctissime voluntati ca la morte seconda no li farrà male. (Da Il Cantico di frate sole, di S. Francesco d’Assisi)
In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo. Non solo si affligge, l’uomo, al pensiero dell'avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, ed anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre. ... Il germe dell'eternità che porta in sé, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte. ... Se qualsiasi immaginazione vien meno di fronte alla morte, la Chiesa invece, istruita dalla Rivelazione divina, afferma che l’uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini della miseria terrena. ... Dio infatti, ha chiamato e chiama l’uomo a stringersi a lui con tutta intera la sua natura in una comunione perpetua con la incorruttibile vita divina. Questa vittoria l’ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, dopo aver liberato l’uomo dalla morte mediante la sua morte. ... (Conc. Vat. II, Gaudium et spes, 18) |
Gesù è l’Alfa e l’Omega, il Primo e l’Ultimo. E’ il Primo, perché, in quanto Dio, è all’origine di tutta la creazione, ed è l’Ultimo, perché in lui si compie l’opera di salvezza del Padre (Ap 1,8.17).
Gesù è il Vivente che ha sconfitto la morte e ha stabilito la propria signoria sul regno di questa (Ap 1,18). Questa è la prima grande verità dell’escatologia cristiana: la morte non ha più potere sull’uomo, non è il trionfo definitivo del male, il nulla che segue la vita decretandone il fallimento. Alla luce della Risurrezione, tutto ritorna alla verità: il Dio di Israele è il Dio della vita; la morte non toglie la vita, la trasforma.
Gesù è il centro della storia. L’Incarnazione, il sacrificio della croce e la Risurrezione la dividono in due parti: il tempo dell’attesa e il tempo della salvezza che si realizza nel mondo. Oggi, il mondo vive gli ultimi tempi: il Regno di Dio è presente sulla terra e tutti gli uomini sono chiamati ad entrarvi per camminare insieme verso la salvezza.
Gesù è anche “colui che viene” (Mc ll,9) per incontrare l’uomo. Durante la vita terrena e al termine di essa.
Il cristiano vive in un atteggiamento di attesa e sa che nel momento della morte si presenterà al cospetto del Cristo Risorto, contemplerà il suo volto e si troverà di fronte al suo giudizio. Gesù descrive tante volte il momento di questo incontro.
L’evangelista Matteo, ad esempio, raccoglie l’insegnamento escatologico di Gesù nell’ultimo dei cinque discorsi che contrassegnano la sua opera.
Nella parabola dei Talenti, il suo insegnamento è chiarissimo: quando l’uomo lo incontrerà tutto sarà finalmente svelato. Il bene e il male compiuti verranno alla luce, l’egoismo sarà definitivamente sconfitto, scuse e giustificazioni non avranno più valore, ognuno sarà conosciuto per quello che veramente è e sarà giudicato in base all’amore di cui è stato capace e secondo quanto ha costruito nella vita terrena.
Il giudizio di Gesù segnerà la fine del tempo della prova, ristabilirà la verità e la giustizia di Dio e sarà il momento in cui la persona si fisserà nell’eternità. Davanti all’uomo si apriranno tre vie: l’esclusione dalla comunità dei salvati, la purificazione in preparazione alla beatitudine, l’eternità beata in comunione con Dio e con tutti i santi.
Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. 16 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. 20 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 21 Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 22 Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. 23 Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 24Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25 per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. 26 Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 30 E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. (Mt 25,14-30) |
Secondo i libri più antichi dell’Antico Testamento, dopo la morte l’uomo entra nello sheòl, il regno dei morti, delle ombre, delle tenebre, del silenzio. Lo sheòl è un luogo misterioso: mai si afferma, nella Bibbia, che sia stato creato da Dio, ma Dio ha potere anche su di esso. Qui buoni e cattivi vivono insieme, lontani da Dio, confusi in un’esistenza tetra.
Negli ultimi libri dell’Antico Testamento, la riflessione circa la vita dopo la morte si evolve e si arricchisce con le idee di risurrezione, di premio e di castigo.
Espressioni come “fuoco inestinguibile”, “verme che non muore”, “fuoco eterno”, “Geenna”, “fornace”, “tenebre eterne”, usate anche da Gesù, esprimono l’idea di castigo riservato agli empi. Con brevi frasi quali "la porta fu chiusa" (Mt 25,l0), "gettatelo fuori" (Mt 25,30), "via lontani da me, maledetti" (Mt 25,4l), Gesù, infine, completa e perfeziona il concetto di esclusione riservata a coloro che, nella vita terrena, non hanno meritato la salvezza. La punizione del dannato consiste nell’esclusione dalla comunione con Dio.
Oggi, l’esclusione dalla beatitudine eterna e l’insieme delle pene che attendono il dannato dopo la morte, vengono chiamate inferno.
L’Inferno è il fallimento definitivo di tutta l’esistenza terrena di una persona. Perché la creatura prediletta di Dio non ha saputo realizzare il progetto divino che l’ha generata; perché ha posto come meta al proprio cammino non l’unico vero Bene, ma tanti piccoli beni che, alla fine, si sono rivelati falsi; perché, soprattutto, ha rifiutato l’amore di Dio, escludendosi così, da sé, dalla salvezza che, dopo la morte, si rivela in tutta la sua luce.
Un tempo la paura dell’Inferno condizionava pesantemente la vita dei cristiani; oggi si preferisce sottolineare maggiormente la misericordia di un Dio che “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva”, e che “nulla disprezza di quanto ha creato, perché amante della vita”.
La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, “il fuoco eterno”. La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira. (Catechismo della Chiesa cattolica, 1035) |
Per poter godere nella beatitudine eterna del Paradiso, è necessario che colui che si presenta al cospetto di Dio sia assolutamente puro, cioè senza la minima macchia in sé.
Il termine tradizionale Purgatorio esprime l’idea della purificazione dell’anima oltre il valico della morte. Secondo la dottrina della Chiesa cattolica, infatti, è possibile che qualcuno muoia senza la necessaria armonia spirituale per poter entrare in Paradiso e, allo stesso tempo, non sia in quello stato di totale avversione a Dio che porta all’Inferno. Sono queste le persone il cui mondo interiore, ferito dalle conseguenze dei peccati commessi e macchiato dal disordine, si trova in uno stato di alterazione e di squilibrio.
Il Purgatorio rappresenta, allora, l’occasione offerta all’uomo per rettificare le proprie intenzioni, i propri pensieri e le proprie certezze, e cancellare definitivamente il male compiuto durante la vita terrena. Il Purgatorio non è eterno e sfocia sempre nella gloria del Paradiso.
La dottrina del Purgatorio è caratteristica della Chiesa cattolica e si fonda su due passi della Sacra Scrittura.
Nel più antico di questi (2Mac 12,38-45) si racconta che, al tempo di Giuda Maccabeo (166-160 a.C.), gli ebrei scoprono sui cadaveri di alcuni di loro morti in battaglia, degli amuleti pagani. Giuda ordina, allora, di inviare a Gerusalemme una forte cifra di denaro per offrire un sacrificio in espiazione del peccato commesso dai defunti,“44Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti”.
Nella prima lettera ai Corinzi, S. Paolo parla di un fuoco che purificherà coloro che muoiono in una situazione di peccato.
Ricordiamo, infine, che, secondo la dottrina della Chiesa cattolica, i fedeli viventi sono invitati a pregare a suffragio dei defunti, abbreviandone, così, la permanenza in Purgatorio.
Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo. La Chiesa chiama purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt’altra cosa dal castigo dei dannati. La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al purgatorio soprattutto nei concili di Firenze e di Trento. La Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, parla di un fuoco purificatore... . (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1030-1031) |
La concezione cristiana dell’al di là raggiunge il proprio compimento e la propria perfezione con l’idea della beatitudine eterna che attende l’uomo. Per indicare questa realtà si usa, normalmente, la parola di origine persiana Paradiso, che corrisponde all’ebraico Eden e che significa giardino.
Oltre a “giardino”, la Bibbia tenta di descrivere la beatitudine eterna con espressioni quali “cielo”, “cieli nuovi e terra nuova”, “liturgia di festa”, “canto”, “banchetto di nozze”, “città di pietre preziose”, “Gerusalemme celeste”. Ma non è facile immaginare il Paradiso e ancor più difficile è cercare di descriverlo a parole, anche se tutto il messaggio cristiano è una continua riflessione sulla sua realtà e un incessante annuncio della sua esistenza.
Il libro dell’Apocalisse riassume in una splendida visione l’idea cristiana del Paradiso e dà, di esso, l’immagine più limpida e più vicina all’insegnamento di Gesù:
“Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il "Dio-con-loro".
4E tergerà ogni lacrima dai loro occhi;
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate”.
3E non vi sarà più maledizione.
Il trono di Dio e dell'Agnello
sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno;
4vedranno la sua faccia
e porteranno il suo nome sulla fronte.
5Non vi sarà più notte
e non avranno più bisogno di luce di lampada,
né di luce di sole,
perché il Signore Dio li illuminerà
e regneranno nei secoli dei secoli. (Ap 21,3-4.22,3-5)
Vivere in Paradiso significa vivere al cospetto di Dio, illuminati dalla sua luce, vedendolo e contemplandolo nella sua realtà. Questo è il fine per il quale l’uomo è stato creato ed è questa la sua reale dimensione.
Tutto ciò che l’uomo ha sognato, tutto ciò che ha desiderato, tutto ciò che ha sperato di ottenere, è ora raggiunto. La visione di Dio placa la sete di conoscere, perché tutto, in Dio, è svelato e, in lui, è la risposta definitiva ad ogni domanda, ogni dubbio, ogni incertezza. La comunione con Dio sazia il desiderio di felicità e garantisce quella completa soddisfazione che, nel corso della vita terrena, è sempre inseguita e mai raggiunta.
Il Paradiso è il ristabilimento dell’armonia. Armonia dell’uomo con Dio, armonia dell’uomo con se stesso, armonia dell’uomo con i fratelli, armonia dell’uomo con tutto il creato, anch’esso trasfigurato.
Il Paradiso è, infine, il trionfo dell’amore. Essere ammessi al cospetto di Dio, Amore infinito, significa entrare nel mistero dell’Amore assoluto e vivere in esso per sempre. Ogni persona è solo amore. Tutto ciò che può offuscare il bene è definitivamente eliminato e non è più nemmeno immaginabile.
Nell’unione con Dio l’amore è pieno e, finalmente, è possibile vivere nella sua totalità il precetto di Gesù: “amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso”.
Alla fine dei tempi, il Regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il Giudizio universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in corpo e anima, e lo stesso universo sarà rinnovato.... Questo misterioso rinnovamento, che trasformerà l'umanità e il mondo, dalla Sacra Scrittura è definito con l’espressione: " i nuovi cieli e una terra nuova" (2 Pt 3,13). Sarà la realizzazione definitiva del disegno di Dio di "ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10).
Per l’uomo questo compimento sarà la realizzazione definitiva dell’unità del genere umano, voluta da Dio fin dalla creazione e di cui la Chiesa nella storia è “come sacramento”. Coloro che saranno uniti a Cristo formeranno la comunità dei redenti, la “Città santa” di Dio (Ap 21,2), “la Sposa dell'Agnello “ (Ap 21,9). Essa non sarà più ferita dal peccato, dalle impurità, dall'amor proprio, che distruggono o feriscono la comunità terrena degli uomini. La visione beatifica, nella quale Dio si manifesterà in modo inesauribile agli eletti, sarà sorgente perenne di gaudio, di pace e di reciproca comunione. (Catechismo della Chiesa cattolica, 1042, 1043, 1045) |
Il giorno stesso della sua risurrezione, Gesù appare agli Apostoli vivo, parla e mangia con loro, permette a Tommaso di toccarlo. Gli Apostoli lo riconoscono e, pieni di gioia, si intrattengono con lui. Come lo vedono?
Essi vedono lo stesso corpo che, sul Calvario, si era addormentato nel sonno della morte e sono talmente stupiti che, in un primo momento, credono di vedere un fantasma.
Ma il corpo del Risorto non è un fantasma. La risurrezione, dopo averlo liberato dalla morte, lo ha liberato anche dalle leggi della natura e lo ha restituito alla sua perfezione.
L'esempio di Gesù, così come è testimoniato dagli Evangelisti, permette di intravedere il mistero della risurrezione dei corpi.
Secondo la dottrina cattolica, infatti, l'uomo riacquisterà il proprio corpo e troverà, nell'al di là, la propria completezza e la propria totale perfezione.
Nella I lettera ai Corinzi, S. Paolo descrive il corpo risorto e mostra come l'idea cristiana di risurrezione del corpo rispetti pienamente l'intima realtà dell'uomo.
L'amore si realizza nella comunione e sarà pieno, quando l'uomo si unirà a Dio nel Paradiso.
Tutto l'insegnamento di Gesù si riassume nel precetto: "amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso", perché l'amore è il segno principale dell'affermarsi del Regno di Dio tra gli uomini.
Accogliere la Parola di Gesù significa entrare a far parte del suo Regno, Regno di amore e comunione fra Dio e l’uomo e fra gli uomini tra loro. Segno della presenza del Regno di Dio tra gli uomini è la Chiesa, per cui coloro che ne fanno parte vivono in comunione fraterna e si adoperano per estendere la medesima comunione a tutti gli uomini della terra.
La morte, come non rimane padrona definitiva dell'individuo, così non può infrangere la comunione che esiste fra gli uomini.
Su queste certezze, la Chiesa fonda la dottrina della comunione dei santi: esiste un'intima unione non solo tra coloro che vivono la vita terrena, ma anche tra questi e coloro che, nella luce del Paradiso, vivono già la santità perfetta e coloro che, in Purgatorio, attendono la definitiva glorificazione.
I beati, quindi, intercedono presso il Padre a favore dei viventi e la loro preghiera, frutto della loro carità perfetta, è aiuto concreto nel cammino di salvezza dei fratelli.